Premessa

 

Il bambino che vediamo oggi sui banchi di scuola è l'uomo di domani; ad ogni educatore è affidata la responsabilità della sua serena integrazione nella grande famiglia umana.

Sarà un uomo sereno, pieno di gioia di vivere, onesto, giudizioso, affidabile?

Sarà un infelice, un drogato, un vizioso, un mafioso?

Il suo futuro è anche nelle nostre mani.

Siamo noi che gettiamo le basi della sua vita, più di quanto noi stessi possiamo immaginare.

Il bambino apprende nel contesto familiare modelli di relazione che tende poi a trasferire nel mondo esterno.

La scuola può confermare o modificare questi modelli di relazione.

La famiglia e la scuola rappresentano due sistemi interagenti: possono creare le premesse perché il bambino si realizzi nella vita o possono far emergere o cronicizzare disagi psichici che ostacolano il suo normale sviluppo ed il suo futuro inserimento nella vita sociale.

Nelle pagine che seguono ci soffermeremo su alcune considerazioni sul concetto di educazione e sulla funzione della famiglia e della scuola nell'assolvere a questo compito.

Gli argomenti sono affrontati dal punto di vista psicologico. La precisazione è necessaria perché, essendo la psicologia una scienza descrittiva, il discorso non può essere incentrato su consigli pratici da utilizzare nell'educazione dei bambini, ma sulla comprensione di ciò che avviene nel loro intimo e sulle conseguenze che questo può determinare nella loro vita di adulti.

La psicologia si limita a studiare le leggi che regolano il comportamento, creando i presupposti dell'azione educativa, nella quale dovranno intervenire anche considerazioni tratte da altre scienze.

Chi vi parla è un estraneo al mondo della scuola; è solo uno psicoterapeuta, un addetto, cioè, alle riparazioni di guasti che anni prima la famiglia o la scuola, in perfetta buona fede, hanno creato.

Se queste pagine riusciranno a scuotere qualche certezza e mettere in crisi qualche educatore, specie tra quelli più convinti di far bene, l'autore si riterrà veramente soddisfatto.

Egli, infatti, non pensa di avere nel cassetto la soluzione di alcun problema; attraverso una serie di riflessioni vuol solo invitare a non dare per sempre scontata la bontà degli interventi educativi fin ora messi in atto, visto che molto spesso gli effetti non sono quelli sperati.

Non è da mettere in dubbio la buona fede e lo zelo della maggior parte degli educatori; sono piuttosto le loro rigide certezze che impediscono di prendere atto della complessità e della problematicità dell'arte di educare.