II. Ruolo dello psicologo nella consulenza familiare

 

Ho parlato di alcuni dei principali problemi d’ordine psicologico che si riscontrano alla base delle disarmonie coniugali. Dovrei ora parlare del ruolo dello psicologo in un consultorio matrimoniale. L’argomento è meno semplice di quanto non possa sembrare a prima vista, poiché ne coinvolge diversi altri.

Come prima cosa ci si chiede se tutte le difficoltà d’ordine psicologico, nella vita matrimoniale, siano di esclusiva competenza dello psicologo. Cominciamo con alcune precisazioni d’ordine generale.

La consulenza in campo prematrimoniale e matrimoniale pone problemi a volte diversi da quelli che lo specialista è abituato ad incontrare nel suo lavoro quotidiano, o almeno, richiede che gli stessi problemi siano affrontati da un’angolatura diversa da quella ordinaria. Pur affrontando il caso individuale, il consulente non deve mai perdere di vista la realtà o la prospettiva familiare, nel cui contesto il caso dovrà essere studiato. L’osservazione è particolarmente valida quando è proprio tale contesto a creare la difficoltà che si presenta alla competenza del consulente.

Da qui scaturisce una prima osservazione: non basta avere una profonda competenza nel proprio campo specialistico per essere un buon consulente nei casi matrimoniali; occorre avere una particolare sensibilità, una preparazione specifica per quanto concerne le applicazioni nel settore matrimoniale ed una buona conoscenza degli altri campi riguardanti lo stesso settore, anche se non rientrano nella propria specialità, principalmente in quello psicologico. A mio avviso, ogni consulente che si occupa di problemi matrimoniali dovrebbe avere una certa preparazione in campo psicologico, poiché qualunque sia l’argomento affrontato, tale campo ne è sempre implicato.

Da quanto osservato si nota come di fatto, molti problemi d’ordine psicologico sono affrontati anche da altri specialisti. Il rischio per gli altri specialisti potrebbe essere quello di ignorare i propri limiti, volendo affrontare quanto rientra nella competenza specifica ed esclusiva dello psicologo. Quali siano questi limiti non è sempre facile stabilirlo. Se si vuole suggerire un criterio, sia pure grossolano, potremmo dire che è necessario l’intervento dello psicologo nei casi in cui l’interferenza di fattori emotivi di una certa intensità, o di presumibili motivazioni inconsce, limitano nell’utente la possibilità di una valutazione serena ed obiettiva del proprio problema. In pratica, quando il consulente nota delle inspiegabili difficoltà di comprensione o irrigidimenti, oltre ogni ragionevolezza e persistenti nel tempo, farebbe bene a discuterne con lo psicologo e, se è il caso, inviargli il cliente stesso. È facile, infatti, che alla base di simili difficoltà vi siano problemi inconsci che vanno affrontati con tecniche adeguate, a livello strettamente specialistico.

 

Ciò premesso, accennerò rapidamente alla funzione dello psicologo ed alle tecniche di indagine e di intervento nelle difficoltà psicologiche della vita matrimoniale. Il primo problema che si pone in una consultazione è di conoscere con esattezza i termini della difficoltà presentata. Per giungere a questo, è necessario avere un chiaro quadro della personalità dei due coniugi e della dinamica del loro rapporto reciproco. Nell’esame del quadro individuale è indispensabile controllare la presenza di eventuali arresti nello sviluppo affettivo e di tendenze patologiche; tutti i fattori sui quali si può far leva per mettere il soggetto in grado di superare le difficoltà, come ad esempio livello intellettivo, stabilità emotiva, forza dell’Io, capacità di tollerare le frustrazioni; i rapporti reciproci di fatto esistenti fra i coniugi.

Una persona esperta potrebbe rilevare tutti questi aspetti attraverso il colloquio e l’intuizione, ma a parte gli inevitabili errori di valutazione, sarebbero necessarie molte ore.

L’economia di tempo, l’obiettività delle conclusioni e la trasmissibilità del metodo suggeriscono l’impiego di tecniche standardizzate: i test mentali.

Circa la loro validità si sente molto discutere, ma non sempre a ragione.

I dati di un test sono paragonabili ad una lastra radiografica: un buon tecnico può essere in grado di ottenerla, ma solo il radiologo riesce a leggerla ed a trarre delle conclusioni valide. Così nei test, la facilità dell’applicazione alletta tante persone che vi si accingono senza la preparazione necessaria; le conclusioni poco attendibili che essi ne traggono costituiscono per il profano un motivo di sfiducia nella tecnica mentre in realtà sono imputabili solo all’imperizia di chi li ha usati. È opportuno ricordare però che in nessun caso dei test possono sostituire il colloquio diretto.

Essi danno informazioni preziose ma che servono solo da traccia nel colloquio che dovrà verificarle.

Qualora si notassero delle discordanze, si renderebbe necessario un approfondimento delle indagini per appurarne la causa.

 

I test maggiormente usati in consultazioni del genere sono: il Rorschach per l’equilibrio generale della personalità ed una serie di fattori specifici; il Wechsler-Bellevue per l’intelligenza; il MMPI per i tratti patologici; il C.P.I. per i tratti caratterologici; il T.A.T. per evidenziale problematiche ricorrenti; il P.F. di Rosenzweig per i tipi di reazioni alle situazioni frustranti; il P.A.R.I. per l’analisi degli atteggiamenti delle madri nei riguardi dei figli.

 

In realtà questi test non sono stati espressamente elaborati in funzione dei problemi matrimoniali. Nel nostro lavoro pratico abbiamo riscontrato alcuni inconvenienti che possiamo così riassumere:

  • Nessuno dei test citati o degli altri che sono a nostra conoscenza fornisce dei dati attendibili sulla capacità di legame con l’oggetto, sulle varie forme di immaturità e, tanto meno, sui rapporti esistenti fra i coniugi.

  • L’applicazione di tutta la batteria è lunga e laboriosa, sia per lo psicologo sia per il cliente.

  • I dati ottenuti sono frammentari e la loro espressione sintetica presenta una certa difficoltà.

 

Questi inconvenienti ci hanno suggerito di strutturare una nuova tecnica specificamente curata per lo studio dei problemi familiari.

Il nuovo test, di cui stiamo curando la validazione e la strutturazione delle forme parallele presso il Consultorio di Psicologia di Catania, è composto di due parti:

 

a) Il V.I.P.-test (Valutazione Integrale della Personalità), è destinato a fornire un quadro della personalità del singolo individuo, con particolare riferimento alle componenti che hanno maggiore incidenza nella vita matrimoniale.

 

Sono esplorati i seguenti aspetti:

  1. Livello intellettivo, rilevato attraverso: la capacità di comprensione e le conoscenze culturali acquisite.

  2. Fissazioni o regressioni agli atteggiamenti: egocentrico, strumentalizzante, competitivo.

  3. Alcuni tratti caratterologici di particolare rilievo: introversione/estroversione, attività/passività, radicalismo/conservatorismo.

  4. Alcune funzioni psichiche: forza dell’Io, stabilità emotiva, sicurezza, aggressività, tono dell’umore.

  5. Orientamenti di vita: sensibilità sociale, interessi per la vita familiare, orientamenti religiosi, orientamenti politici.

  6. Tendenze a sindromi psichiatriche: sintomi nevrotici, sintomi psicotici, personalità psicopatica, ipocondria, isteria, manifestazioni ossessive, manifestazioni fobiche, paranoia, schizofrenia.

 

b) Il T.A.C. (Test di Affinità Coniugale) è destinato allo studio dei rapporti esistenti fra due fidanzati o due coniugi.

Consiste in una serie di domande che riguardano i tratti del carattere, i gusti e le idee, con particolare riferimento alla concezione della vita familiare.

Le stesse domande sono presentate ad ognuno dei due in cinque formulazioni diverse:

  1. come sono io: il soggetto deve rispondere riferendosi al proprio carattere, ai propri gusti, alle proprie idee.

  2. come è lui (o lei): il soggetto deve rispondere indicando il carattere, i gusti e le idee dell’altro;

  3. come lui (o lei) pensa di essere: il soggetto risponde, limitatamente al carattere, riferendosi al giudizio che l’altra persona darebbe di se stessa;

  4. come io vorrei che lui (o lei) fosse: per i singoli tratti di carattere si indica come si vorrebbe che l’altra persona fosse, indipendentemente da come in realtà si;

  5. come io vorrei essere: si indica come, in riferimento ai tratti di carattere contemplati, si vorrebbe essere.

 

Ottenute le risposte si procede al calcolo delle correlazioni esistenti fra le varie serie di risposte. Gli indici costituiscono dei parametri che rivelano la situazione di fatto esistente fra i due fidanzati o coniugi:

  1. correlando la prima serie di risposte date da uno (come sono io) con la seconda data dall’altro (come è lui) e viceversa, si può conoscere il grado di conoscenza reciproca;

  2. si potrebbe pensare che una correlazione poco elevata sia dovuta a poca obiettività del primo nel rispondere (come sono io) e non a mancanza di conoscenza da parte dell’altro: il dubbio può essere dissipato correlando la prima serie del primo (come sono io) con la terza dell’altro (come lui pensa di essere); se si conosce veramente l’altro, si dovrebbe sapere non solo com’è, ma anche come giudica se stesso;

  3. correlando la seconda serie di uno (come è l’altro) con la quarta serie dello stesso (come vorrei che lui fosse) si può conoscere in che misura ognuno accetta l’altro (grado di accettazione);

  4. correlando la quarta serie di uno (come vorrei che lui fosse) con la quinta dell’altro (come vorrei essere) si conosce se vi è una concordanza di aspirazioni ad un certo ideale di comportamento (grado di convergenza);

  5. correlando ancora per ognuno le risposte (come sono io) con le altre (come vorrei essere), si ha un indice del grado di autoaccettazione.

 

Il test si sta rivelando molto utile nelle consultazioni.

Citiamo uno dei tanti casi esaminati.

Due coniugi, sposati da oltre dieci anni, si sono presentati al Consultorio perché la loro vita era diventata impossibile a causa dei continui litigi e recriminazioni reciproche: la tipica situazione che i protagonisti sogliono definire come incompatibilità di carattere.

Al test si è rivelato che il grado di conoscenza reciproca era bassissimo.

Quale era dunque la situazione?

Malgrado la lunga convivenza, per fattori nevrotici non erano arrivati ad un’obiettiva conoscenza reciproca ed ognuno covava in sé segreti rancori contro l’immagine che si era fatta dell’altro, senza quindi alcuna possibilità di giungere ad un accordo.

Si è proceduto ad un trattamento imperniato sulla chiarificazione: osservare come realmente era il coniuge e prendere coscienza del motivo per cui ognuno si era fatta un’immagine dell’altro non rispondente alla realtà. Il successo della terapia ha confermato la bontà della diagnosi.

 

Le tecniche psicologiche d’intervento nelle difficoltà coniugali sono basate sugli stessi principi delle varie forme di psicoterapia.

Differiscono da esse per alcuni caratteri:

vengono spesso seguiti parallelamente entrambi i coniugi;

il punto di partenza è la situazione matrimoniale e gli altri aspetti vengono presi in considerazione in quanto legati ad essa;

l’obiettivo auspicabile è il raggiungimento di un equilibrio attraverso l’adattamento al coniuge ed alla vita familiare.

Le modalità possono variare, secondo il caso da trattare e la scuola di provenienza dello psicologo.

In generale il trattamento dei singoli coniugi viene centrato sulla chiarificazione e la presa di coscienza:

 

  1. Orientata su di sé:

 

  1. A livello di principi. Prendendo le mosse dalle idee e dal modo di pensare dell’utente, lo si aiuta a raggiungere una concezione della vita familiare chiara, serena e rispondente alle esigenze della piena maturità. Citiamo un esempio: un uomo può essere convinto che il suo ruolo di marito comporti l’imporre alla moglie la propria volontà e le proprie idee, anche con mezzi coercitivi, al punto da considerare socialmente riprovevole un comportamento differente. Il primo passo nel trattamento consiste nell’aiutarlo a scoprire l’errore di tale concezione.

  2. A livello di comportamento personale. Attraverso l’esposizione delle difficoltà o dei conflitti da parte dell’utente, si richiama l’attenzione su particolari che egli è portato a valutare poco criticamente. Più che intervenire, lo psicologo funge da specchio nel quale l’utente si vede riflesso, e in modo da osservare criticamente, il proprio comportamento. Sarà l’utente stesso a giungere alle conclusioni più opportune.

  3. A livello di moventi del proprio comportamento. Molto spesso - ed in special modo quando sono implicati fattori emotivi – l’utente giustifica il proprio comportamento con motivazioni razionali, non rispondenti ai veri motivi, dei quali non è cosciente. È compito dello psicologo aiutarlo a prendere coscienza dei motivi inconsci che lo spingono ad agire in una certa direzione.

 

  1. Orientata sulla figura del coniuge:

 

  1. Conoscenza della personalità del coniuge. Abbiamo visto come uno dei coniugi può formarsi un’immagine distorta dell’altro. È indispensabile una chiarificazione che porti ad una esatta rappresentazione dell’altro e dei motivi che hanno determinato la distorsione dell’immagine.

  2. Retta valutazione del comportamento del coniuge. Nei casi in cui esistono tensioni, il comportamento del coniuge è sistematicamente giudicato in maniera malevola. È compito dello psicologo aiutare a chiarire le reali intenzioni del coniuge ed in che misura il suo comportamento ostile non sia una reazione causata dal proprio comportamento. In casi del genere è facile il determinarsi di una spirale d’ostilità che - se non è interrotta da opportune chiarificazioni - conduce fatalmente ad una rottura nel peggiore dei modi.

  3. Comprensione del simbolismo della figura del coniuge e dell’ambivalenza ad essa legata. Può accadere che, nella figura del coniuge, si riviva l’ambivalenza legata all’immagine del proprio genitore di sesso opposto o ad altra persona del proprio mondo infantile. Quando ciò si verifica ogni sforzo per la riconciliazione è desinato a fallire se non si porta il soggetto alla presa di coscienza ed al superamento della dinamica inconscia che sta alla base.

 

  1. Orientata sulla realtà obiettiva:

 

Una tale chiarificazione può richiedere la collaborazione degli altri specialisti del consultorio: giuristi, moralisti, medici, pedagogisti, secondo i casi.

Può riguardare:

  1. La considerazione della realtà dello stato matrimoniale: la persona sposata deve prendere atto di tale realtà non paragonabile a quella di un fidanzamento, in cui una rottura è sempre possibile senza gravi inconvenienti. Oltre ai problemi religiosi, vi sono dei precisi doveri di giustizia nei riguardi del coniuge e degli eventuali figli.

  2. La sdrammatizzazione delle difficoltà: una oculata consulenza può spesso far constatare come difficoltà che apparivano insormontabili, se si ridimensiona la componente emotiva, possono essere superate con una certa facilità.

  3. L’adeguata considerazione degli inconvenienti che una rottura comporterebbe: in una situazione caratterizzata da forti tensioni emotive è facile perdere di vista l’insieme della situazione e quello che avverrebbe in seguito ad una separazione o ad uno scioglimento del matrimonio. Una visione realistica di questi aspetti può rinforzare le motivazioni nella ricerca delle vie di superamento delle difficoltà.

 

Un punto resta forse poco chiaro: la figura dello psicologo.

Il profano distingue con una certa difficoltà il ruolo specifico dello psicologo con quello di altri professionisti che lavorano in settori vicini, quali lo psichiatra, lo psicoanalista o il pedagogista.

Nulla vieta che questi professionisti possano affrontare con competenza i problemi psicologici della vita matrimoniale, ma è necessario che abbiano una seria preparazione specifica che non può essere presunta.

Anche fra gli psicologi, tenendo conto della pluralità di indirizzi, non chiunque è automaticamente in grado di svolgere una consulenza familiare.

Come un odontoiatra potrebbe non essere competente in campo neurologico pur trattandosi in entrambi i casi di attività mediche, così uno psicologo esperto in orientamento professionale potrebbe non avere la stessa competenza in campo familiaristico.

 

Lo psicologo che voglia coscienziosamente occuparsi di problemi matrimoniali, oltre ad una preparazione generale, deve conoscere a fondo la psicologia dinamica, le tecniche psicodiagnostiche e psicoterapeutiche, ed vere una buona apertura ai problemi sessuologici, sociologici, psichiatrici e morali.

Solo queste condizioni, accompagnate da una serenità interiore, possono metterlo in grado di affrontare proficuamente lo studio dei problemi familiari ai fini di una consulenza sul piano professionale.