2.3 FORMULAZIONE DELLA STRATEGIA DI INTERVENTO

 

Espletato il colloquio di validazione, l'équipe che si è eventualmente occupata del caso torna a riunirsi per definire una strategia di intervento alla luce di tutte le informazioni delle quali si è in possesso.

Le prime decisioni da prendere sono se mantenere l'intervento a livello di consulenza o attuare una vera e propria psicoterapia dell'individuo o sul contesto familiare.

 

23.1 Ricordiamo che si suole parlare di consulenza psicologica quando l'intervento mira a risolvere un problema specifico, senza modificare schemi stabiliti di comportamento né la struttura della personalità.

Si opta per la consulenza tutte le volte che si ha un ragionevole motivo di pensare che attraverso un tale intervento si possa risolvere il problema o quando non sussistono le premesse per un intervento psicoterapeutico.

L'intervento di consulenza è giustificato dal presupposto che l'utente non sia in grado di superare le difficoltà o per disinformazione o per la presenza di stati emotivi che gli impediscano un'adeguata visione del problema.

 

23.2 Altre volte lo stato di disagio ha radici più profonde, o perchè si sono strutturati degli schemi di comportamento che limitano lo stato di benessere, o perchè a limitare tale stato intervengono dei fattori che pur non essendo coscienti influenzano il comportamento stesso; o per altri motivi.

Una diagnosi differenziale in questi casi è di somma utilità perchè in base ad essa si dovrà decidere la strategia di intervento: se intervenire prevalentemente sul sintomo o sulla causa o in un altro modo.

 

232.1 Le tecniche di intervento psicoterapeutico tendenti alla rimozione del sintomo sono state guardate con sufficienza e spesso ridicolizzate dai cultori della psicoanalisi per vari decenni.

L'obiezione di fondo era riducibile ad uno slogan tanto caro agli psicoanalisti: inutile togliere il sintomo senza eliminare la causa; il sintomo si ripresenterà anche se in altra forma, forse peggiore.

Questa presa di posizione così drastica è basata, quantomeno, su un errore logico di illazione indebita. E' vero, vi sono dei sintomi provocati da una causa tuttora agente ed in tal caso è poco utile eliminare il sintomo se contemporaneamente non si rimuove la causa; ma non tutti i sintomi hanno una causa tuttora agente.

Portando il ragionamento all'assurdo si dovrebbe dire che è inutile curare una gamba fratturata se non si rimuove la buccia di banana che ha provocato il fatale scivolone!

Noi riteniamo utile, ed a volte è l'unica via percorribile, la rimozione del sintomo tutte le volte in cui si ha motivo di vedere che la causa sia un qualche evento superato e che il sintomo, già autonomizzato, allo stato attuale si mantenga in atto per un processo di autorinforzo attraverso meccanismi di ordine diverso.

 

232.2 A volte però il disagio è alimentato da una qualche causa tuttora presente e attiva.

Oltre a fattori risalenti all'infanzia e presenti nell'incoscio del soggetto, sono da prendere in seria considerazione difficoltà di ordine relazionale (familiare, lavorativo o sociale) ed esistenziale.

E' ovvio che in situazioni del genere una strategia di intervento dovrà essere orientata al superamento che sono all'origine del disagio.

 

232.3 Altre volte è impossibile una distinzione tra sintomo e causa perchè si tratta di uno stato di disagio permanente in cui il soggetto vive, sia pure con riacutizzazione in coincidenza con particolari circostanze, quali ad esempio lo stress o difficoltà relazionali. Il disagio può essere connesso con carenze nella strutturazione della personalità e nell'organizzazione cognitiva, al punto che l'adattamento generale alla vita ne sia più o meno compromesso.

Situazioni del genere sono fra le più frequenti e nei casi in cui si verifichino è più opportuno un tipo di intervento che rimetta in discussione più o meno radicalmente la vita del soggetto.

23.3 L'intervento in favore dell'utente può inoltre essere attuato agendo direttamente su di lui o sul contesto familiare seguendo le due vie.

 

233.1 Preferiamo agire sull'individuo portatore del disagio quando si verificano due condizioni:

A. Il disagio è imperniato su problemi strettamente soggettivi e non coinvolge il nucleo familiare a nessun livello.

B. Nell'individuo portatore di disagio vi sono sufficienti risorse sulle quali far leva per una buona ripresa; parlando di risorse ci riferiamo alle capacità intellettive e culturali, ad una certa motivazione, alla coscienza del proprio stato di disagio ed a quanto altro rende favorevole la prognosi di una psicoterapia individuale.

 

233.2 Se il disagio è connesso con problematiche familiari o se non si verificano le condizioni per intraprendere un trattamento individuale mentre la famiglia è disponibile ad una certa collaborazione, preferiamo affrontare il caso attraverso una terapia familiare.

 

233.3 Vi sono casi in cui il disagio è connesso con problemi strettamente personali, ma viene esasperato dai rapporti interpersonali in seno alla famiglia.

In casi del genere od in altri simili prendiamo in considerazione un trattamento combinato: iniziamo con un trattamento familiare per sgombrare il terreno da interferenze o per mettere l'individuo in condizioni di meglio affrontare i suoi problemi e continuiamo, quando è il momento, con un trattamento individuale.

Di preferenza in questi casi ad affrontare la psicoterapia individuale è un operatore che ha seguito il trattamento della famiglia da dietro lo specchio senza aver preso parte diretta nell'interazione con essa.

 

233.4 A questo punto una precisazione è di obbligo.

Precedentemente abbiamo con insistenza affermato (cfr. 1.4 ) che non esiste una causa unica dei disagi psichici e anche nel singolo individuo si può solo parlare di causa prevalente.

Riprendendo un'immagine precedente, quella che chiamiamo causa è solo la punta dell'iceberg, mantenuta in superficie solo dalla pressione del ghiaccio sottostante; l'eliminazione di quella punta farà affiorare altre masse, anche se di volume minore, finché il ghiaccio non sarà disciolto.

La stessa osservazione vale per i sintomi, dei quali spesso il dominante cede il posto ad altri prima inavvertiti.

Ne abbiamo costante conferma nella pratica clinica: l'utente giunge quasi sempre lamentando un certo disagio, per lui insostenibile; asserisce che, superato quello, del resto non gli importerebbe nulla; regolarmente, eliminato quello di cui si lamenta ne affiorano altri, dei quali si lamenta pressoché allo stesso modo; non è detto che debba necessariamente trattarsi di nuovi disagi o che, un'ipotetica causa profonda, quando si è eliminato un sintomo, lo rimpiazzi con un altro. Spesso si tratta di motivi di disagio preesistenti; la loro presenza era solo mascherata da altri più vistosi; quando i primi si attenuano, gli altri vengono a dominare il campo di coscienza in modo più evidente.

Ciò continuerà a verificarsi finché la persona non avrà raggiunto un equilibrio per lei soddisfacente.

A livello di intervento, come nell'esempio dell'iceberg, in qualunque punto si attacchi il ghiaccio, purché si faccia con un mezzo idoneo a scioglierlo, la massa diminuisce, così nei casi di disagio qualunque sia il punto di partenza di una terapia, si ha un certo vantaggio.

La scelta di una strategia d'intervento oculata è tuttavia necessaria per un triplice ordine di motivi:

- La tecnica scelta deve essere almeno adatta ad alleviare un qualsiasi aspetto del disagio, in quel caso concreto.

- Si deve tener conto dell'economicità o, quanto meno, che vi sia una certa proporzione tra energia impegnata e risultati ragionevolmente prevedibili.

- L'intervento deve essere tale da non pregiudicare la prosecuzione del trattamento, con la stessa o con altre tecniche, aumentando le resistenze, creando o incrementando vantaggi secondari del disagio, generando sfiducia, o in tanti altri modi possibili.

Nella scelta della tecnica si tengono costantemente presenti queste tre considerazioni anche in vista di un'azione prevalentemente orientata sul sintomo, sulle ipotetiche cause, sulla struttura globale della personalità, sulle problematiche vissute o per valutare l'opportunità di agire sull'individuo o sulla famiglia.

Nella nostra prassi, tutte le volte in cui non troviamo una chiara indicazione per un orientamento diverso, usiamo la procedura che sommariamente esporremo nel capitolo seguente, opportunamente adattata alla luce dei risultati emersi dallo studio del caso.