B. Il giovane e la sua realtà familiare.

 

I problemi e gli atteggiamenti della famiglia possono aiutare il ragazzo nella serena ed armoniosa strutturazione della personalità e facilitare l’interesse e il successo nello studio, ma possono anche costituire un intralcio:

Nell’insuccesso o nell’abbandono scolastico un ruolo notevole è da attribuirsi, direttamente o indirettamente, alle famiglie.

Le interazioni familiari possono notevolmente intralciare sia l’evoluzione della personalità del ragazzo, sia il suo rendimento scolastico.

a) Influenze negative sulla personalità.
 

Affrontare in modo completo l’argomento ci porterebbe lontano dal tema attuale; per un approfondimento rimandiamo al n. 31 della nostra rivista Biopsyche, del quale riportiamo alcuni contenuti.

1) Ideologie aberranti.

Intendiamo con questo termine quei modi di pensare non consoni agli interessi della collettività. Spesso si tratta di forme subdole che, pur eludendo la presa di coscienza, permeano il modo di pensare corrente; in altri termini, pur deplorando le manifestazioni antisociali che ne scaturiscono, si coltiva in seno alla famiglia, senza che ci si renda conto, il modo di pensare e di agire che predispone ed esse.

L'educazione non può assumersi la responsabilità di trasmettere e perpetuare forme di cultura già per­cepite disfunzionali al contesto sociale in cui si vive e la scuola è chiamata ad apportare i correttivi adeguati ad un modo di pensare non rispondente ad un ideale di serena convivenza.

A solo titolo esemplificativo, purtroppo non certo esaustivo, citiamo alcuni esempi:

Cultura mafiosa.
 

Un primo esempio eclatante è la cultura mafiosa, di cui tanto oggi si parla, sopravvissuta a innumerevoli generazioni di benpensanti.

Parlando di mafiosi siamo abituati a riferirci ai grandi criminali assurti agli onori della cronaca; per­diamo di vista la schiera enormemente più numerosa di "persone oneste" (messo tra molte virgolette!) che costi­tuiscono l'entroterra senza il quale la mafia stessa non attecchirebbe.

Accenniamo ad alcuni tratti che, organizzati in un sapiente equilibrio, costituiscono o alimentano la men­talità mafiosa:

* Rigidità e dogmatismo.

* Sacralizzazione del potere personale e del gruppo.

* Attaccamento rigido alle regole del gruppo.

* Concezione selettiva e punitiva della giustizia.

* Confusione tra solidarietà e omertà.

* Possessività

 

Cultura dell'avere.
 

Il culto dell'avere, in contrapposizione all'essere, sembra costituire una caratteristica della società attuale ed è alla base di tensioni, malesseri e di molti compor­tamenti criminali, quali la vasta gamma dei delitti contro il patrimonio

 

Edonismo egocentrico.
 

La ricerca del piacere è una caratteristica fonda­mentale dell'essere umano.

Compito dell'educazione non è certo ostacolarla; è piuttosto aiutare a programmarla perché si realizzi in forma matura:

* Che il piacere immediato non pregiudichi un godi­mento più pieno e duraturo nel futuro.

* Che si riesca a far coincidere il proprio piacere con quello degli altri.

L'incapacità di realizzare queste due condizioni, come nell'edonismo egocentrico, oltre che rendere la persona infelice, potrebbe far slittare l'individuo in forme di devianza; l'abuso di sostanze come la droga e l'alcool costituiscono un esempio tristemente attuale.

 

2) Sistemi educativi non adeguati.

Che l’educazione dei figli costituisca un problema difficile è un fatto risaputo e di cui costantemente si parla.

Pur non volendo fare un trattato sull’educazione, possiamo accennare a due aspetti che possono notevolmente incidere sulla vita del ragazzo e del futuro adulto: il modo come la famiglia può presentare la realtà e la concezione della vita familiare.

Concezione della realtà.
 

Il nuovo essere che arriva al mondo si ritrova con un patrimonio genetico simile a quello dei nostri progenitori, ma col compito di adattarsi ad un contesto molto diverso da quello primitivo.

Il compito degli adulti è di presentargli la realtà attuale e guidarlo nel processo di adattamento ad essa. Non sempre, però, questa presentazione è fatta nella maniera più serena.

La realtà presentata in modo non coerente.
 

Il principio di realtà viene ordinariamente espresso dagli adulti coi divieti e con le sanzioni che interven­gono nelle eventuali trasgressioni. Il tutto, perché venga serenamente assimilato, dovrebbe costituire un codice comportamentale coerente e immutabile, uguale in tutte le cir­costanze e da chiunque venga proposto. Ma spes­so così non avviene, con conseguente formazione di ansia e disorientamento.

In ricerche di laboratorio sui riflessi condizionati nei cani, venivano proiettati un cerchio o un quadrato luminosi; ogni volta che si proiettava il cerchio si dava all'animale del cibo, quando si proiettava il quadrato gli si dava una scarica elettrica. Dopo una serie di prove, per effetto del condizionamento, alla proiezione del cer­chio si aveva salivazione ed alla proiezione del quadrato il cane cercava di scansarsi.

A condizionamento avvenuto, se si proiettava una figura intermedia fra le due e non assimilabile ad una di esse, il cane diventava ansioso e reagiva con manife­stazioni di nervosismo, come se l'incertezza di ciò che sarebbe seguito costituisse uno stato più penoso dell'at­tesa di un evento doloroso sicuro.

Quante volte le proibizioni o le sanzioni, più che in rapporto con una reale necessità, motivata, per quanto pos­sibile, al bambino, riflettono invece l'umore o il nervosismo dei genitori? Chi non ha constatato come spesso alla stessa azione segua una risata o un rimpro­vero, secondo che gli adulti siano di buono o di cattivo umore?

Non c'è da stupirsi se il bambino, permanendo disorientato su quello che deve o non deve fare, o su ciò che l'attenda come conseguenza del suo comporta­mento, cresca insicuro ed ansioso.

La gravità del danno è proporzionale alla fre­quenza con la quale queste incoerenze si verificano e alle aree che maggiormente toccano, specie se sono connesse con l'identità e l'autostima.

 

La realtà presentata come arbitraria.
 

A prescindere dalla coerenza, le imposizioni dovrebbero essere motivate, compatibilmente con le capacità di comprensione dei bambini; la motivazione è maggiormente avvalorata se si fanno toccare con mano gli inconvenienti che si verificano ad assumere un comportamento diverso da quello che si intende proporre..

Al contrario, se le imposizioni o i divieti vengono calati dall'alto, con l'unica motivazione che sono gli adulti a volerlo, perché essendo loro i più forti hanno il diritto al comando, il bambino crescerà con l'idea che nella vita comanda il più forte, non importa a qual titolo.

C'è da stupirsi se da adulto si troverà a dover sce­gliere: o diventare potente o strisciare davanti ai potenti?

 

La realtà presentata come tetra.
 

Il bambino non nasce con una sua visione del mondo, anche se un certo corredo biologico può avere un peso come fattore predi­sponente, né è in grado di formarsela da solo. Lentamente ed in maniera acritica, pur contestandola in certi casi, assimila quella degli adulti che lo circondano e che si presentano significativi nella sua vita.

Certo, con un pizzico di buona volontà, non sarebbe difficile vedere la realtà che ci circonda intrisa di malvagità o come una «valle di lacrime», né sono le trasmissioni televisive, oppio dell'infanzia, a smentire questa concezione. Se poi non si riesce a sorridere e si guarda con diffidenza qualsiasi fonte di piacere come ri­schiosa o potenzialmente peccaminosa, abbiamo creato i presupposti per ampliare la schiera dei depressi.

Non intendiamo entrare in disquisizioni che esulano dal nostro tema; vogliamo solo notare che spesso dimentichiamo la saggia massima del Manuale di Epitteto: «Gli uomini sono agitati e turbati, non dalle cose, ma dalle opinioni ch'essi hanno delle cose».

 

La realtà presentata come piena di pericoli.
 

Altre volte la realtà è presentata come fonte di pe­ri­coli, dai quali solo la presenza dei genitori può pro­teggere. Si inculca al bambino che solo fra le mura do­mestiche si è al sicuro.

Una volta assimilata, questa concezione non am­mette deroghe, nemmeno se sono i genitori stessi a proporle. Spesso le prime difficoltà si manifestano nel rifiuto della scuola, vissuta anch'essa come un pericolo, rappresentando un di­stacco dalla famiglia.

La paura si potrà poi focalizzare su oggetti partico­lari, originando le fobie che affliggono e rendono limita­ta la vita di tante persone.

 

La realtà presentata come persecutoria.
 

La pericolosità può essere attribuita ad atteggia­menti malevoli degli altri, sui quali si proiettano tutte le cattive intenzioni: la ragione, la giustizia ed il bene sono presentati come appannaggio della propria fa­miglia che dovrà restare chiusa e trincerata per non essere conta­minata dal male che si trova all'esterno, tutto negli altri.

In coerenza con questa categorica distinzione, il bambino sentirà il bisogno di sentirsi costantemente buono e imparerà a sfuggire ai tur­bamenti causati dalle pulsioni e dai desideri che nota in sé e che giudica cattivi, proiettandoli sugli altri.

Il bambino così indottrinato difficilmente si salverà dallo strutturare una personalità paranoide.

 

Le interazioni del bambino con la realtà, veicolate dalla malattia.
 

L'adulto è in grado di interagire con l'esterno e di scaricare eventuali tensioni attraverso vari canali, come la simbolizzazione verbale, l'attività, l'espressione somatica.

Il bambino ha delle possibilità limitate di esteriorizzazione e quando la tensione si accumula, non avendo la capacità di arginarla, utilizza i soli canali di espressione che gli sono consentiti: l'azione (le reazioni di aggressività ne sono un esempio) e, in un'epoca ancora anteriore, il disturbo psicosomatico.

Tralasciamo in questo contesto la discussione sulla patogenesi e sulle concause organiche e focalizziamo l'attenzione sull'aspetto relazionale del problema. La presenza del disturbo richiama l'attenzione di una madre distratta o solo sensibile allo stato di salute del figlio; gli adulti gli rivolgono più attenzione; il bambino ha ottenuto il suo scopo ed impara a dialogare attraverso la malattia.

Nulla di strano se ipotizzassimo in questa direzione l'instaurarsi di una scarsa resistenza agli agenti patogeni e più tardi le costanti preoc­cupazioni ipocon­driache alla base della comunicazione.

Il linguaggio e i concetti usati costituiscono solo delle metafore razionalmente comprensibili per indicare concetti molto più complessi che si svolgono a livello alogico fin dai primi giorni di vita; anzi, le interazioni dei primissimi stadi incidono più profondamente ed in modo maggiormente irreversibile, con meccanismi che in qualche modo richiamano l'imprinting del mondo animale.

Parliamo di metafora perché gli atteggiamenti descritti costituiscono dei particolari modi di essere che l'adulto traduce nell'interazione col bambino fin dal momento della sua nascita, sia pure in modo non intenzionale. Quando più tardi si esprimeranno nella maniera precedentemente descritta, si tratterà solo di una esplicitazione di quanto in forma camuffata era stato messo in atto fin dai primi giorni di vita del bambino.

 

Concezione della vita familiare.
 

Abbiamo visto come la funzione primaria della famiglia sia quella di accompagnare i figli fino al rag­giungimento della piena autonomia.

La famiglia di origine appartiene al passato ed ha solo il compito di trasmettere le acquisizioni ed i valori in suo possesso, senza impedire che i figli attingano ad altre fonti, analogamente a quanto avviene per la for­mazione culturale.

Il contesto sociale si evolve ed i figli dovranno vi­vere nel contesto di domani, diverso da quello riflesso dalla fa­miglia di oggi.

Purtroppo spesso questo concetto si perde di vista ed i giovani si trovano impreparati nell'impatto con mondo sociale, da qui il disorientamento ed il facile slittamento nelle varie forme di devianze.

Analizziamo alcuni atteggiamenti che molte famiglie, in perfetta buona fede, reputano utili ai figli, ma che in definitiva si ri­solvono a loro danno.

 

Figli in funzione dei genitori
 

Spesso l'affetto per i figli si manifesta con atteggiamenti di possessività.

I figli sono considerati parte di sé e si agevola il permanere di questo tipo di relazione simbiotica.

Le conseguenze che ne derivano sono diverse, se­condo le modalità di interazione; possiamo raggrupparle in tre tipi:

a) Accettazione della simbiosi con uno o con en­trambi i genitori; conosciamo fin troppo bene il tipo di persona adulta che, anche dopo sposata, continua a di­pendere dai genitori, con grave disagio del coniuge e con serie difficoltà nella relazione di coppia.

b) Ribellione con permanenza dello stato simbioti­co: con una certa frequenza il figlio apparentemente si ribella a questo tipo di legame, ma si tratta semplice­mente di un gioco che ha come unico obiettivo il mantenimento del legame attraverso la schermaglia.

c) Ribellione con rottura definitiva del rapporto; sono i casi in cui il figlio reagisce ad un tipo di legame che gli sta stretto e non trova altro modo se non uscire sbattendo la porta.

 

Figli in funzione delle proprie aspettative
 

Altre volte si cerca di realizzare nei figli le proprie aspettative.

Tutti abbiamo dei sogni e degli ideali nella vita, ma non sempre riusciamo a realizzarli. Spesso ripetiamo che sarebbe bello avere una seconda vita, col ricordo e l'espe­rienza della prima, per poterci organizzare meglio ed attuare quanto non siamo riusciti a fare precedente­mente. Nell'impos­sibilità concreta di farlo, aspiriamo a realizzare nei figli quanto le circo­stanze non ci hanno permesso di attuare.

Le modalità con le quali si tenta di raggiungere questo obiettivo possono essere diverse:

a) Imposizione aperta dei propri progetti, cercando di superare ogni remora o aspirazione diversa del figlio, giudicata come una ridicola velleità.

b) Manipolazione sottile del figlio per indurlo ad ac­cettare i piani genitoriali, della cui bontà si è ferma­mente convinti.

c) Presentazione come dato di fatto del piano pre­sta­bilito, stupendosi che il figlio possa nutrire una qualche per­plessità.

 

Figli in famiglie di stile patriarcale.
 

L'organizzazione sociale passata ruotava attorno a due grandi settori lavorativi: l'agricoltura e l'artigianato.

Entrambe le attività si prestavano molto alla ge­stione familiare ed i figli restavano legati alla famiglia anche da un vincolo economico; il padre, oltre alla sua funzione specifica, era il datore di lavoro e restava tale fino al termine della vita. Solo con la sua morte la fa­miglia si scioglieva ed i figli davano origine a nuovi pa­triarcati.

Con l'avvento della società industriale e lo svilu­ppo del terziario i figli cominciano ad avere una auto­nomia lavorativa e spesso subentra la necessità di vivere lontani dalla famiglia di origine.

Tutto questo impone altri modelli di vita, un diver­so tipo di rapporto genitori-figli e quindi una maggiore e più precoce realizzazione di autonomia da parte dei figli stessi.

Il voler conservare l'ideale di vita familiare funzio­nale in un contesto socioeconomico precedente diventa ora ana­cronistico; si rischia di intralciare lo sviluppo dell'autonomia di cui il giovane avrà bisogno per gestire adeguatamente la sua vita.

Non è certo casuale che nell'ambito della mafia si usi il termine famiglia per indicare una organizzazione, rigida, chiusa e fortemente gerarchizzata.

 

3) Risvolti patologici.

 

Possiamo far rientrare in quest’aspetto sia le patologie psichiatriche di singoli componenti della famiglia, sia le interazioni patologiche nelle famiglie stesse.

Purtroppo non sempre in seno alla famiglia si veri­fi­cano le condizioni adatte per trasmettere ai figli la se­renità necessaria che permetta loro di costruire una vita futura armoniosa.

Non è certo una colpa se la famiglia vive dei pro­blemi; il prenderne, però, coscienza aiuta ad arginare le ripercussioni negative sui figli.

Un clima sereno nell'ambito della famiglia è la condi­zione essenziale perché il bambino estenda senza ansie e senza paure il contatto con la realtà.

Il bambino è in costante interazione con tutti i membri della fa­miglia, interazione che non dipende dalla sua volontà di interagire, ma che è inevitabile quando due sistemi viventi entrano in contatto.

La relazione tra il bambino e la sua famiglia costi­tuisce la sua storia quando entra a contatto col mondo sociale più esteso. Nell'ambito della famiglia, infatti, egli si è già appro­priato di modelli di interazione con figure adulte, modelli che tende a riproporre nei nuovi contesti dei quali entrerà a far parte.

Se il contesto familiare è disarmonico e conflittuale il bambino resta disorientato e rischia di sviluppare una serie di patologie che qui sarebbe lungo enumerare.

Gli inconvenienti sono ancora più gravi se si giunge alla separazione e i bambini vengono usati come arma di pressione, di ricatto o come merce di scambio.

b) Influenze negative sullo studio.

1) Azione inibente.

Se il disinteresse della famiglia per lo studio del ragazzo può contribuire a demotivarlo, spesso un interesse eccessivo, più che motivare, può provocare un blocco per l’impressione di inadeguatezza tra le capacità che l’alunno si autoattribuisce e le aspettative dei genitori.

Più in generale, una eccessiva attenzione per qualcosa che si sta facendo, non sempre spinge a far meglio. Tutti abbiamo l’esperienza dell’intralcio che si provoca in noi se siamo osservati mentre facciamo qualcosa che richiede attenzione, specie se ci teniamo a mostrare la nostra bravura.

Allo stesso modo, a volte, una eccessiva interferenza potrebbe provocare intralci.

Questo è uno dei tanti esempi di azioni inibenti da parte della famiglia.

2) Azione demotivante.

Con una certa frequenza la famiglia trasmette al ragazzo un messaggio ambivalente: da un canto insiste perché il ragazzo consegua il diploma, d’altro canto svalorizza il pezzo di carta perché inefficace alla conquista dell’agognato posto, in contrapposizione alla pedata di più sicuro effetto.

In questo gioco lo studio come preparazione al futuro lavoro e alla vita non riveste alcun significato.

 

3) Azione dissuasiva.

Non è da sottovalutare, infine, in certi ambienti sociali, l’effetto demotivante o dissuasivo costituito dall’alternativa dei corsi regionali annuali o biennali che insieme alla prospettiva di un titolo immediatamente spendibile sul mercato del lavoro, aggiunge la promessa di un contributo economico che, per quanto piccolo (L.8000 al giorno), può essere allettante per i ragazzi e per le loro famiglie.