2. Il delicato problema della presentazione della realtà

 

Ai fini della comprensione del nostro discorso, non dobbiamo perdere di vista quanto abbiamo detto a proposito degli esperimenti nel mondo animale; è un assioma ormai universalmente accettato, sia pure con modalità e chiavi di lettura diverse, che il bambino apprende a vivere la propria vita di relazione in base alle sue primissime esperienze relazionali-emotive. Parlando di esperienze, gli esempi che esporremo non devono indurci ad una concezione semplicistica dell'interazione fra il bambino e il mondo degli adulti; nella realtà essa si svolge a livello prevalentemente non-verbale e al di fuori del campo di coscienza, non solo, del bambino, ma dell'adulto stesso ed incide tanto più profondamente quanto più l'interazione è precoce.

è questo il compito specifico dello psicologo: osservare ed evidenziare quanto sfugge al campo di coscienza dei protagonisti della relazione, se non altro perché sono parte in causa, per tentare di avanzare delle ipotesi sugli effetti di determinati atteggiamenti.

È necessario, ai fini della convivenza sociale, portare il bambino a far propri i limiti e le regole che la realtà impone, ma è altrettanto importante, ai fini di una vita psichica serena, che il bambino percepisca la realtà stessa come sorgente di gratificazione; i limiti che in determinate circostanze impone, dovranno essere proposti, più che come frustrazioni, come delle modalità per il raggiungimento di un piacere futuro.

La persona pienamente matura, nella ricerca del piacere, sarà capace di tener conto della presenza e delle esigenze dei suoi simili per farli partecipare alla propria gioia, costantemente consapevole che una gioia condivisa aumenta la gioia stessa.

Se si riuscirà ad ampliare il concetto di piacere ed insegnare al bambino che le limitazioni e le regole rappresentano un modo di potenziarlo, renderlo più stabile ed estenderlo agli altri, lo si farà crescere sereno e si avrà un adulto soddisfatto e adattato alla vita.

Purtroppo una serie di circostanze intralciano la realizzazione di una tale visione, con grave pregiudizio della serenità del bambino e dell'equilibrio psichico del futuro adulto.

Per una maggiore comprensione, accenniamo schematicamente ad alcune delle modalità distorte di presentare la realtà ed ai probabili inconvenienti che potranno derivare nella vita adulta dell'attuale bambino.

Ovviamente quanto diremo costituisce solo una semplificazione artificiosa e limitata all'aspetto relazionale, al solo scopo di rendere comprensibili alcuni concetti ai non addetti ai lavori. Nella vita l'andamento è molto più complesso e le patologie dell'adulto difficilmente sono imputabili ad una causa unica.

Inoltre, nella vita reale, l'andamento non è così meccanicisticamente consequenziale come potrebbe apparire da questa schematizzazione.

 

A. La realtà presentata in modo non coerente.
 

Il principio di realtà viene ordinariamente espresso dagli adulti coi divieti e con le sanzioni che intervengono nelle eventuali trasgressioni. Il tutto, perché venga serenamente assimilato, dovrebbe costituire un codice comportamentale coerente e immutabile, uguale in tutte le circostanze e da chiunque venga proposto. Ma spesso così non avviene, con conseguente formazione di ansia e disorientamento.

In ricerche di laboratorio sui riflessi condizionati nei cani, venivano proiettati un cerchio o un quadrato luminosi; ogni volta che si proiettava il cerchio si dava all'animale del cibo, quando si proiettava il quadrato gli si dava una scarica elettrica. Dopo una serie di prove, per effetto del condizionamento, alla proiezione del cerchio si aveva salivazione ed alla proiezione del quadrato il cane cercava di scansarsi.

A condizionamento avvenuto, se si proiettava una figura intermedia fra le due e non assimilabile ad una di esse, il cane diventava ansioso e reagiva con manifestazioni di nervosismo, come se l'incertezza di ciò che sarebbe seguito costituisse uno stato più penoso dell'attesa di un evento doloroso sicuro.

Quante volte le proibizioni o le sanzioni, più che in rapporto con una reale necessità, motivata, per quanto possibile, al bambino, riflettono invece l'umore o il nervosismo dei genitori? Chi non ha constatato come spesso alla stessa azione segua una risata o un rimprovero, secondo che gli adulti siano di buono o di cattivo umore?

Non c'è da stupirsi se il bambino, permanendo disorientato su quello che deve o non deve fare, o su ciò che l'attenda come conseguenza del suo comportamento, cresca insicuro ed ansioso.

La gravità del danno è proporzionale alla frequenza con la quale queste incoerenze si verificano e alle aree che maggiormente toccano, specie se sono connesse con l'identità e l'autostima.

 

B. La realtà presentata come arbitraria.
 

A prescindere dalla coerenza, le imposizioni dovrebbero essere motivate, compatibilmente con le capacità di comprensione dei bambini, sia pure facendo toccare con mano gli inconvenienti che si verificano ad assumere un comportamento diverso.

Al contrario, se le imposizioni o i divieti vengono calati dall'alto, con l'unica motivazione che sono gli adulti a volerlo, perché essendo loro i più forti hanno il diritto al comando, il bambino crescerà con l'idea che nella vita comanda il più forte, non importa a qual titolo.

C'è da stupirsi se da adulto si troverà a dover scegliere: o diventare potente o strisciare davanti ai potenti?

 

C. La realtà presentata come tetra.
 

Il bambino non nasce con una sua visione del mondo, anche se un certo corredo biologico può avere un peso come fattore predisponente, né è in grado di formarsela da solo. Lentamente ed in maniera acritica, pur contestandola in certi casi, assimila quella degli adulti che lo circondano e che si presentano significativi nella sua vita.

Certo, con un pizzico di buona volontà, non sarebbe difficile vedere la realtà che ci circonda intrisa di malvagità o come una valle di lacrime, né sono le trasmissioni televisive, oppio dell'infanzia, a smentire questa concezione. Se poi non si riesce a sorridere e si guarda con diffidenza qualsiasi fonte di piacere come rischiosa o potenzialmente peccaminosa, abbiamo creato i presupposti per ampliare la schiera dei depressi.

Non intendiamo entrare in disquisizioni che esulano dal nostro tema; vogliamo solo notare che spesso dimentichiamo la saggia massima del Manuale di Epitteto: «Gli uomini sono agitati e turbati, non dalle cose, ma dalle opinioni ch'essi hanno delle cose».

 

D. La realtà presentata come piena di pericoli.
 

Altre volte la realtà è presentata come fonte di pericoli, dai quali solo la presenza dei genitori può proteggere. Si inculca al bambino che solo fra le mura domestiche, se non proprio fra le braccia materne, si è al sicuro.

Una volta assimilata, questa concezione non ammette deroghe, nemmeno se sono i genitori stessi a proporle. Spesso le prime difficoltà si manifestano nel rifiuto della scuola, vissuta anch'essa come un pericolo, rappresentando un distacco dalla famiglia.

La paura si potrà poi focalizzare su oggetti particolari, originando le fobie che affliggono e rendono limitata la vita di tante persone.

 

E. La realtà presentata come persecutoria
 

La pericolosità può essere attribuita ad atteggiamenti malevoli degli altri, sui quali si proiettano tutte le cattive intenzioni: la ragione, la giustizia ed il bene sono presentati come appannaggio della propria famiglia che dovrà restare chiusa e trincerata per non essere contaminata dal male che si trova all'esterno, tutto negli altri.

In coerenza con questa categorica distinzione, il bambino crescerà col bisogno di sentirsi costantemente buono e imparerà a sfuggire ai turbamenti causati dalle pulsioni e dai desideri che nota in sé e che giudica cattivi, proiettandoli sugli altri.

Il bambino così indottrinato difficilmente si salverà dallo strutturare una personalità paranoica.

 

F. Le interazioni del bambino con la realtà veicolate dalla malattia
 

L'adulto è in grado di interagire con l'esterno e di scaricare eventuali tensioni attraverso vari canali, come la simbolizzazione verbale, l'attività, l'espressione somatica.

Il bambino ha possibilità limitate di esteriorizzazione e quando la tensione si accumula, non avendo la capacità di arginarla, utilizza i soli canali di espressione che gli sono consentiti: l'azione (le reazioni di aggressività ne sono un esempio) e, in un'epoca ancora anteriore, il disturbo psicosomatico.

Tralasciamo in questo contesto la discussione sulla patogenesi e sulle concause organiche e focalizziamo l'attenzione sull'aspetto relazionale del problema. La presenza del disturbo richiama l'attenzione di una madre distratta o solo sensibile allo stato di salute del figlio; gli adulti gli rivolgono più attenzione; il bambino ha ottenuto il suo scopo ed impara a dialogare attraverso la malattia.

Nulla di strano se ipotizzassimo in questa direzione l'instaurarsi di una scarsa resistenza agli agenti patogeni e più tardi le costanti preoccupazioni ipocondriache alla base della comunicazione.

Ripeto ancora che il linguaggio e i concetti usati costituiscono solo delle metafore razionalmente comprensibili per indicare dei concetti molto più complessi che si svolgono a livello alogico fin dai primi giorni di vita; anzi, le interazioni dei primissimi stadi incidono più profondamente ed in modo maggiormente irreversibile, con meccanismi che in qualche modo richiamano l'imprinting del mondo animale, al quale abbiamo accennato.

Parliamo di metafora perché gli atteggiamenti descritti costituiscono dei particolari modi di essere che l'adulto traduce nell'interazione col bambino fin dal momento della sua nascita, sia pure in modo non intenzionale. Quando più tardi si esprimeranno nella maniera precedentemente descritta, si tratterà solo di una esplicitazione di quanto in forma camuffata era stato messo in atto fin dai primi giorni di vita del neonato.

A questo proposito, se mi è concesso, vorrei avanzare una timida osservazione: è illusorio pretendere di voler trasmettere al bambino dei messaggi che non corrispondano al proprio modo di essere e di concepire la vita. Se si vuole interrompere la perpetuazione di quello che inizialmente definivo come una sorta di peccato originale, è necessario che tutti coloro che intendano occuparsi di bambini, i genitori in primo luogo, rivedano con umiltà la propria ideologia di vita, senza paura di mettere in discussione le loro sicurezze di sempre ed, eventualmente, di confrontarsi con chi può concretamente essere di aiuto. Oggi esistono molte strutture pubbliche e private che possono efficacemente aiutare, non solo a riparare i danni provocati, ma soprattutto a prevenire la creazione di disagi più o meno gravi e permanenti nei bambini.

Espresso in termini diversi, il miglior modo di essere di aiuto ai figli è quello di guardare più attentamente dentro di sé!

Non sono inoltre da sottovalutare nell'evoluzione psichica del bambino i fattori di ordine biologico e le dinamiche intrapsichiche che, pur prendendo l'avvio da input ricevuti dal mondo esterno, seguono un loro svolgimento e a loro volta condizionano l'ulteriore interazione col mondo esterno stesso.

In realtà l'evoluzione psichica è costituita da una progressiva integrazione di disposizioni che vanno maturando e di esperienze che si attuano. La personalità che gradualmente emerge si confronta sistematicamente con le nuove suggestioni, positive o negative che siano; gli stimoli ambientali interagiscono sistematicamente con nuovi modi individuali di percepirli e di reagire ad essi.

Questa dinamica contribuisce a spiegare come individui cresciuti nello stesso ambiente possano sviluppare personalità e comportamenti diversi.