3. Ruolo della famiglia nella trasmissione della vita

 

Come accennato, nella specie umana, la trasmissione della vita è qualcosa di più complesso rispetto a quanto avviene nelle altre specie animali, sia perché il nuovo essere viene alla luce ad uno stadio più immaturo ed ha bisogno di una costante assistenza ai fini della sopravvivenza, sia perché gli schemi di comportamento umano non si trasmettono attraverso meccanismi di ordine esclusivamente genetico, sia ancora perché la complessità e la dialettica delle istanze sociali deve essere appresa come le regole di un gioco prima di inserirsi nel gioco stesso.

Tutto questo si attua normalmente in seno alla famiglia che viene così investita delle responsabilità di quello che sarà il futuro dei figli, fino a quando questo futuro non diventerà presente: il ruolo della famiglia è quello di rendere l'individuo capace di condurre una vita autonoma e si esaurisce quando questo traguardo viene raggiunto. Il volere andare oltre non solo non rientra più nel suo ruolo specifico ma rischia di slittare nella prevaricazione.

 

A. Ruolo biologico
 

Esula dal nostro compito l'approfondimento di questo aspetto. Ci limitiamo a qualche considerazione a margine del problema.

Il ruolo della famiglia è quello di agevolare la maturazione biologica assecondando la natura ed intervenendo con eventuali rimedi nei casi di reali anomalie.

Con molta frequenza il benessere fisico viene enfatizzato al punto da trasformarlo in fonte di preoccupazioni e di ansie che vengono immancabilmente trasmesse al bambino.

Una delle costanti è la problematicizzazione del mangiare: per le madri, tutti i bambini rifiutano il cibo, o per lo meno, non si nutriscono nel modo giusto, cioè nel modo rispondente ai propri canoni. Segue a ruota quello del coprirsi: è risaputo che il golfino è quell'indumento che i bambini debbono indossare quando le madri hanno freddo.

Altro aspetto è l'allarmismo per qualsiasi malessere, reale o presunto, del bambino, col rischio di trasmettere ai figli preoccupazioni ipocondriache e di subordinare tutta la vita ad inutili precauzioni.

 

B. Ruolo psicologico
 

Abbiamo paragonato l'essere umano ad una pianta da innesto.

È la famiglia, composta a sua volta da membri che hanno già recepito le conquiste dell'umanità in millenni di evoluzione, che innesta nel nuovo essere gli schemi di comportamento tipicamente umani.

Un individuo che crescesse al di fuori del contatto con altri uomini non svilupperebbe un comportamento umano, così come noi oggi lo concepiamo. Certamente non si può ricorrere ad esperimenti, ma i casi fortuitamente scoperti confermano questa ipotesi.

Un caso fra i più studiati è quello delle due bambine, Amala e Kamala scoperte nel 1921 in una regione poco abitata dell'India.

Gli abitanti di un villaggio riferirono al missionario che dei piccoli mostri con sembianze umane ogni tanto facevano delle apparizioni. Fu organizzata una battuta e, seguendo le orme, si giunse ad una grotta dove vivevano coi lupi due bambine, una di età compresa fra i 2 e i 4 anni e l'altra di età compresa fra gli 8 e i 9 anni. Fu difficile mantenerle in buona salute, specie per il poco adattamento ad una dieta umana; la più piccola morì entro un anno, la maggiore, Kamala, visse per circa 8 anni.

Mai le bambine acquisirono un comportamento umano, malgrado gli sforzi compiuti per la loro educazione. Non riuscirono a mantenere una posizione eretta, ad acquisire il linguaggio e ad esprimere le emozioni con pianto o col riso.

Scoperte del genere confermano ulteriormente come il contatto con altri esseri umani nel primo periodo di vita sia indispensabile per l'acquisizione di un comportamento umano.

Non si tratta però di un semplice contatto fisico con un qualsiasi essere umano.

Un ruolo fondamentale gioca il rapporto con la madre, attraverso il quale si comincia a strutturare il senso di fiducia o sfiducia nei confronti del mondo.

Al momento della nascita si interrompe lo stato di simbiosi con la madre ed il corpo materno comincia a far parte della realtà esterna. Se questa realtà continua ad assicurargli non solo il cibo, ma anche la protezione, la sicurezza e la stabilità, il bambino vivrà positivamente la sua prima esperienza di relazione sociale; in caso contrario comincerà a percepire la realtà con insicurezza e paura.

Accenniamo brevemente ad alcune conseguenze di anomalie nel rapporto con la madre, rappresentate da situazioni estreme; passeremo quindi all'esame di altri aspetti connessi con la vita familiare. Nella vita corrente difficilmente si riscontrano carenze a tale livello, ma sono frequenti i casi di genitori eccessivamente impegnati, sia pure alla ricerca di un futuro benessere per i figli; forse si soffermano poco a riflettere che il benessere maggiore sarà per loro la serenità.

Si tratta solo di qualche esempio per dare un'idea dell'importanza della madre e della famiglia nella vita del bambino.

 

a) Carenza della figura materna.
 

Il distacco dalla madre nella prima infanzia, se prolungato, può dar luogo a vari disturbi; significativi quelli descritti da Spitz:

* Ospedalismo (da non confondere con l'ospedalizzazione), quando il bambino, durante i primi 18 mesi di vita ha subito un prolungato soggiorno ospedaliero, in condizioni di assoluta privazione della figura materna: si manifesta con ritardo dello sviluppo somatico, della padronanza della manipolazione, dell'adattamento all'ambiente, del linguaggio e della percezione affettiva.

* Depressione anaclitica, se il distacco dalla madre avviene dopo aver trascorso con lei almeno i primi 6 mesi di vita: al primo mese il bambino diventa piagnucoloso, esigente, si aggrappa a chi prende contatto con lui; al secondo mese rifiuta il contatto, presenta insonnia, resta per la maggior parte del tempo disteso bocconi nella culla, perde di peso, presenta ritardo motorio generalizzato, rigidità dell'espressione facciale; dopo il terzo mese si stabilizza la rigidità del volto, i pianti cessano e sono sostituiti da rari gemiti, il ritardo aumenta e diventa letargia.

* Marasma, in cui il deterioramento fisico e psichico giunge a gradi estremi, con elevata incidenza della mortalità. Si verifica quando la situazione di distacco si protrae oltre i cinque mesi.

 

b) Rapporto materno inadeguato.
 

L'ansia o l'iperprotettività della madre, l'inconscio rifiuto della maternità, l'instabilità dell'umore, la compensazione intellettuale dell'insicurezza del proprio ruolo di donna, possono dar luogo a forme morbose più o meno durature con manifestazioni anche a livello somatico.

Lo stesso Spitz descrive tre forme, raggruppandole sotto la denominazione di psicotossicosi:

* Coma del neonato, quando il bimbo non riesce ad attaccarsi al seno, ad alimentarsi e rapidamente cade in uno stato stuporoso. A livello di interpretazione psicogenetica, si evidenzia una connessione col rifiuto da parte della madre e l'estraneamento del bambino dalla propria vita emotiva. Spesso questo si verifica in relazione ad uno stato conflittuale della madre sul suo ruolo femminile e nell'accettazione della maternità.

* Colica del terzo mese di vita: pianto con disturbi dispeptici ed ipermotilità. Può insorgere in bambini congenitamente ipertonici che hanno madri iperprotettive; può facilmente instaurarsi il circolo vizioso: pianto - poppata - attenuazione momentanea della manifestazione - colica per iperalimentazione - pianto - ...

  • Eczema del lattante, riscontrato con frequenza in bambini con netta ipereccitabilità ed iperriflessia cutanea presente fin dalla nascita, che venivano ricoverati in istituto ed allevati da madri con disturbi comportamentali, specie nella sfera sessuale, tali da condurle in riformatorio. Queste madri si presentavano affettivamente immature con una notevole componente aggressiva rivolta verso il bambino; l'aggressività non era apertamente manifestata ma espressa sotto forma di ansia esagerata per lui, di paura di fargli male e nello stesso tempo di rifiuto di tenerlo vicino.

Anche in questi casi, si tratta di esempi di situazioni estreme che suggeriscono una attenta analisi degli atteggiamenti e dei problemi dei genitori per i riflessi che possono avere nella vita dei figli.

 

c) Conflittualità nell'ambito familiare.
 

Purtroppo non sempre in seno alla famiglia si verificano le condizioni adatte per trasmettere ai figli la serenità necessaria che permetta loro di costruire una vita futura armoniosa.

Non è certo una colpa se la famiglia vive dei problemi; il prenderne, però, coscienza aiuta ad arginare le ripercussioni negative sulla nuova generazione.

Un clima sereno nell'ambito della famiglia è la condizione essenziale perché il bambino estenda - senza ansie e senza paure - il contatto con la realtà.

Egli è in costante interazione con tutti i membri della famiglia, interazione che non dipende dalla sua volontà di interagire, ma che è inevitabile quando due sistemi viventi entrano in contatto.

La relazione tra il bambino e la sua famiglia costituisce la sua storia quando successivamente entra a contatto col mondo sociale più esteso. Nell'ambito della famiglia, infatti, egli si è già appropriato di modelli di interazione con figure adulte, modelli che tende a riproporre nei nuovi contesti dei quali entrerà a far parte.

Se il contesto familiare è disarmonico e conflittuale il bambino resta disorientato e rischia di sviluppare una serie di patologie che qui sarebbe lungo enumerare.

Gli inconvenienti sono ancora più gravi se si giunge alla separazione e i bambini vengono usati come arma di pressione, di ricatto o come merce di scambio.

Personalmente posso dire che alla prima richiesta di perizia sull'assegnazione dei figli che mi era stata fatta, sono rimasto talmente disgustato che da quel momento ho sempre rifiutato incombenze del genere.

 

C. Ruolo sociale
 

L'individuo, nel corso della propria vita, interagisce costantemente con gli altri e si trova nelle necessità di dover rispettare le regole del gioco; regole che si cominciano ad apprendere in seno alla famiglia.

I punti di riferimento attorno ai quali esse ruotano potrebbero essere i seguenti:

 

a) Capacità di godere del rapporto con gli altri.
 

Non sempre si riesce a godere di un sereno rapporto con gli altri e gli altri sono considerati degli amici o, quanto meno, dei propri simili che si trovano nella stessa barca e coi quali essere solidali.

Spesso un diffuso senso di diffidenza e di ostilità caratterizza i rapporti sociali, come se gli altri fossero, quanto meno, dei concorrenti dai quali bisogna costantemente difendersi. Gli altri sono considerati dei potenziali nemici, a meno che con evidenza per qualcuno di loro non si dimostri il contrario.

L'atteggiamento nei confronti degli altri è molto condizionato dal modo di pensare della famiglia e dalle sue paure e diffidenze che vengono facilmente assimilate dai bambini.

Certo, sarebbe ingenuo far credere che tutti siano degli angioletti, ma fra i due estremi c'è sempre la giusta via di mezzo: In medio stat virtus, avrebbe detto Aristotele.

 

b) Riconoscimento del diritto ad avere un proprio ruolo del contesto sociale.
 

Il bambino che in famiglia vede rispettati in modo equo i suoi diritti è maggiormente predisposto a sentirsi sicuro nei rapporti con gli altri e non sarà portato a cedere, anche quando non è opportuno, pur di farsi accettare.

Molto spesso è proprio questa insicurezza che rende deboli ed in balia delle influenze del gruppo; pur di ottenere un briciolo di accettazione, si finisce col sottostare alle loro condizioni, anche se non condivise. È questo il caso più frequente nei giovani che si accostano alla droga.

 

c) Rispetto degli altri e dei loro diritti
 

Il riconoscimento dei propri diritti ha come correlato il rispetto dei diritti degli altri. Questa reciprocità è alla base del senso di giustizia che dovrà essere trasmessa al bambino partendo dalle prime esperienze in seno alla famiglia e nello stesso tempo è il fondamento di una corretta e armoniosa vita sociale.

 

d) Graduale estensione dal contesto familiare a quello sociale della sicurezza nei rapporti.
 

Come già accennato, è in seno alla famiglia che si pongono le basi del comportamento sociale dell'individuo.

Ovviamente servono poco gli insegnamenti che si vogliono impartire; le condizioni per lo sviluppo di un sereno comportamento sociale sono costituite:

1) Dalla possibilità di vivere in seno alla famiglia un rapporto caratterizzato da un senso di giustizia.

2) Dalla constatazione dei vantaggi di un simile modo di relazionare.

3) Dall'estensione a tutti i rapporti interpersonali di quanto si è vissuto in seno alla famiglia, con la convinzione che processo di maturazione significa riuscire ad estendere alla grande famiglia umana le esperienze positive vissute in seno alla propria piccola famiglia, superando le barriere dell'egoismo individuale e familiare.