1. Il senso della vita in natura

 

La vita, per la sua caratteristica di attività immanente e la sua capacità di autoriprodursi, rappresenta il grado più complesso e sublime di organizzazione della materia nel nostro pianeta. In essa ogni individuo costituisce un anello di una catena ininterrotta che, dalla prima apparizione sulla terra, è giunta fino a noi, permettendo la nostra stessa esistenza. I singoli esseri viventi hanno un loro ciclo vitale circoscritto nel tempo ed una loro conclusione, ma la loro scomparsa non rappresenta la fine di tutto: anche se l'individuo scompare, ciò che ha generato o prodotto resta e continuerà a vivere nella specie.

Il singolo essere vivente non è quindi fine a se stesso: acquista un senso proiettato nella specie.

L'individuo ha origine nel passato, ma non può fermarsi al passato; per non interrompere la catena della vita deve proiettarsi nel futuro.

Questa proiezione si attua in maniera diversa nelle singole forme di vita.

Nelle specie inferiori, le sapienti e sofisticatissime regole comportamentali vengono unicamente trasmesse attraverso il corredo genetico, senza bisogno di alcun rapporto, sul piano comportamentale, tra genitori e figli. Le farfalle nascono tutte orfane, poiché quando l'uovo si schiude, la madre che lo aveva deposto è già morta; eppure, ogni farfalla si comporta esattamente come la propria madre, la propria nonna o la propria bisnonna!

Andando avanti nella scala animale, notiamo forme di trasmissione che dopo la nascita, con modalità variabili da specie a specie, portano a modifiche o aggiustamenti comportamentali legati all’interazione tra il piccolo nato e gli altri membri del gruppo. Abbiamo un esempio quanto mai significativo nell'imprinting descritto da Lorenz fin dal 1935: un animale, nei primissimi stadi di vita, considera irreversibilmente come madre qualunque altro animale od oggetto in movimento col quale viene a contatto.

L'incidenza dell'apprendimento è molto più marcata negli animali superiori, come le scimmie, al punto che una anomalia nel processo di apprendimento può condizionare tutta la vita. A questo proposito sono di estrema importanza gli esperimenti condotti da Harlow nel Laboratorio dei Primati dell'Università del Wisconsin su scimmie neonate separate dalla madre.

Le ricerche, complesse e articolate, si sono protratte per diversi anni. In alcuni casi, le singole scimmie neonate venivano poste in un ambiente in cui vi erano due pupazzi, uno di spugna ed uno costituito da un reticolo di fili metallici. Le scimmie, potendo scegliere, stavano aggrappate al pupazzo di spugna, anche se il biberon col latte era attaccato al pupazzo di fil di ferro. Quelle che non avevano avuto possibilità di scegliere ed erano vissute isolate col solo contatto del pupazzo di fil di ferro, da adulte, si dimostravano più ansiose, asociali e con notevole difficoltà nell'accoppiamento.

Se poi qualcuna di esse diventava madre, o ignorava completamente i piccoli o li maltrattava e qualche volta arrivava ad ucciderli. Cosa sorprendente, i piccoli, sebbene maltrattati, restavano fedelmente legati alle loro madri, tentavano ugualmente di giocare con loro e qualche volta riuscivano anche a modificare il comportamento scontroso delle madri stesse.

Con le dovute trasposizioni, questi risultati presentano una sconcertante analogia con quanto emerge nel corso delle psicoterapie: le prime esperienze infantili sono determinanti nella futura evoluzione dell'individuo.